Esattamente il 20 dicembre la Banca d’Italia, com’ è tradizione ad ogni fine anno, ha pubblicato il “Supplemento al bollettino statistico” N.ro 67/2010 dal titolo “La ricchezza delle famiglie italiane 2009”. I dati salienti hanno trovato ampio risalto su media e quotidiani di inizio settimana, in particolare su Il Sole 24 Ore di martedì 21 alle pagine 1, 2 e 3. Con tale dovizia di commenti, il blog non aggiungerà i suoi. Bensì proverà a fornire ai lettori di questo post le chiavi per una più approfondita analisi dei dati. Cliccate qui per scaricare il documento originale in pdf (30 pagine) dal sito della Banca d’Italia. La materia prima che interessa direttamente il family banker, il nostro “venditore meraviglioso”, consta di 3.565 miliardi di euro di attività finanziarie che sommate a 5.883 miliardi di euro di attività “reali” (per lo più immobili), depurati gli 860 miliardi di passività (mutui, prestiti ecc.) fa un totale di 8.588 miliardi di ricchezza netta. Il patrimonio finanziario della “Grande Fabbrica del risparmio d’Italia” è cresciuto del 46% rispetto ai valori del 1995, dato rettificato ai valori correnti del 2009. Però appena dello 0,9% rispetto all’anno 2000 e ciò risente della “doppia crisi” finanziaria che ha impattato sul decennio in corso. La ricchezza netta delle famiglie italiane rispetto al reddito disponibile” (7,84%) è la più elevata del paniere dei paesi OCSE, con gli USA fermi al 4,76%. Ciò, secondo la maggioranza dei commentatori, Nobel inclusi, renderebbe il nostro paese più immune alle speculazioni sul debito pubblico dei paesi della vecchia Europa più esposti sui conti. Si conferma quel fenomeno che sono solito definire della “polarizzazione a calamita” della ricchezza.
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