domenica 20 marzo 2011

QUAL E' IL COLMO PER UN BANCHIERE ?

"Far debiti coi soldi altrui” sarebbe una risposta paradossale ma, non del tutto fantascientifica nella realtà di oggi. Tanto forti delle nostre convinzioni, spesso ci perdiamo gli spunti di riflessione di cui è ricca la realtà quotidiana. La nostra mente è piena di sé, chiusa come fosse una cassaforte. Nell’antica Grecia, un potente stimolo al libero pensiero era fornito dal “paradosso”, concetto filosofico che metaforicamente possiamo paragonare ad una specie di “Svitol”© della materia grigia.
Dall’etimologia "para" (contro), "doxa" (opinione), il paradosso viene inteso come una conclusione perfettamente dimostrabile attraverso un percorso logico/dialettico, finanche scientifico, nonostante essa sia apparentemente inaccettabile per opinione comune. Famosi i paradossi di Zenone di Elea, filosofo presocratico (489-431 a.C.), più di tutti quello ricordato come “Achille e la tartaruga”.
Ebbene, il più classico dei paradossi di oggi può essere quello che riguarda il sistema bancario e le sue problematicità. “Banche a caccia di liquidità, per gli istituti italiani è sempre più oneroso raccogliere fondi attraverso bond, cartolarizzazioni e mercato interbancario” titolava in prima pagina il già citato Sole 24 Ore dello scorso 6 marzo. E quindi:”… gli istituti si rifanno sui clienti” (pag. 5). Eppure ai tempi della mia gioventù, il mestiere del banchiere appariva ai più fra quelli maggiormente scontati e solidi del mondo. Raccogliere il denaro con una mano, da coloro che non volevano tenerselo in casa e magari aspiravano a guadagnarci qualcosa, prestarlo con l’altra a quanti non ne avevano ma che riuscivano almeno prestare una qualche garanzia. Il lucro era la famosa “forbice" dei tassi. “Mi hai preso per la banca ?” Ammoniva papà quando mi ostinavo a bussare cassa. Quel mestiere non è più né tanto scontato, né tanto solido: ecco un vero paradosso del terzo millennio sul quale chi fa il nostro mestiere farebbe bene davvero a "schiudere" la mente, documentandosi. Se fosse ancora qui, papà chioserebbe “Guagliò, è finita l’epoca di Pappagone !”. Per non farla lunga, vogliamo limitare le considerazioni al nostro paese e agli ultimi vent'anni ? Dalla cosiddetta “Legge Amato” (N.ro 218 del 30/7/1990: disposizioni in materia di ristrutturazione e integrazione patrimoniale degli istituti di credito di diritto pubblico) che sancì la fine dello “stato-banchiere”, passando attraverso Basilea II, fino alla "tempesta perfetta" causata da derivati e subprime, il riassetto imposto al sistema bancario, alla sua competitività e alla correttezza dei suoi bilanci è una disciplina che non fa sconti a nessuno. Anch’io vi sottopongo un giochino paradossale, una specie di personalissimo “Achille e la tartaruga”. Guardate la foto allegata: se quella della pubblicità fosse una banca (una banca non è), con quel modo di operare, con quella policy che lascia perplessi, a che tasso dovrebbe prestare il suo denaro ? Quanto inoltre dovrebbe remunerare la sua raccolta ? Ecco lo spunto di riflessione che sempre dovrebbe aprirsi dietro il mero aspetto numerico del tasso, ad esempio di un’obbligazione. Sul rapporto fra la sua quantità e la sua qualità. Fra le newsletter della collega Silvia Ottani ce n’è una molto utile al caso nostro, datata 14 febbraio. La trovate nell’area riservata del blog se ne avete la password (icona bianca a sinistra, col lucchettino). Lo spunto (gli asset problematici dei primi 50 gruppi bancari) è tratto dall’Atlante delle Banche Leader 2010, recentemente allegato a Milano Finanza/Italia Oggi.
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