Devo questi spunti al collega Roberto Barbieri con cui giorni fa ho condiviso alcune riflessioni sulla pagina Facebook del Gruppo aperto da Sandrone Vita. Assodato che nella comunicazione le domande sono spesso molto più importanti delle affermazioni, non mi soffermerò stavolta su quelle cosiddette "aperte" o "chiuse" perchè il lettore potrà trovare anche sul web molta letteratura in proposito. Spendo qualche rigo sulle domande "retoriche" utilissime per creare consenso, anche su argomenti apparentemente ostici. Sappiate che "ai miei tempi", dalle medie al liceo per intenderci (anni '70), il percepito del termine "retorico" non era forse positivo. Mi era stato inculcato dall'istruzione di allora un significato molto prossimo al dispregiativo (del tipo "belle parole, poca sostanza"). Ed infatti se andate sul dizionario de Il Corriere della Sera (è il "Sabatini Coletti" versione online, http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano ), trovate testualmente fra le possibili definizioni (è la seconda): "Di discorso o scritto, caratterizzato da ricercatezza formale ma privo di validi contenuti, sin. ampolloso..."
Devo ammettere che solo la mia vita in azienda, ma anche i numerosi corsi e letture di comunicazione e "public speaking", hanno ridato al termine "retorico" l'antico lustro dell'oratoria greca e una forte valenza nel quotidiano. Sempre il dizionario de Il Corriere infatti così cita (prima definizione): "Che riguarda l'arte della retorica: studi r.; conforme ai principi della retorica....elemento stilistico con cui si accresce l'efficacia di un discorso... domanda, interrogazione r., frase interrogativa la cui risposta sia ovvia".
Ebbene, lo dicevo all'inizio, la domanda retorica, partendo da un argomento la cui opinione pubblica è abbastanza scontata, consente a chi parla di trovare un più agevole consenso nell'interlocutore o uditorio, per proseguire il "cammino" del discorso anche su terreni decisamente più accidentati. Esempio al volo: una serata clienti in piena "crisi di borsa". Dopo i saluti iniziali, il relatore inizia con una domanda al posto di una qualsiasi possibile affermazione: "Come non provare un senso di apprensione, forse anche un pizzico di ansia, davanti alle notizie dei TG che incalzano veloci ?" La domanda retorica è tale anche perchè chi parla non ne attende risposta. Ed infatti immaginiamo il relatore proseguire: "Siamo qui stasera, per vedere assieme in tutta calma nella prossima ora alcuni punti importanti..."
Come recitano i manuali di comunicazione, ma anche di vendita, le domande efficaci consentono di "condurre" la conversazione. Le domande "retoriche" possono a buon titolo essere incluse fra quelle addirittura "potenti", purchè vengano opportunamente preparate e dosate: consentono infatti di "disinnescare" preventivamente possibili situazioni di tensione. Agli antipodi delle "retoriche", troviamo quelle (infelici !) domande che sottintendono un'affermazione, peggio... un pesante giudizio/pregiudizio. Io le chiamo scherzosamente domande "tarocche" perchè sono tutt'altro che domande, bensì forti espressioni di biasimo, tanto forti da sembrare quasi "scandalizzate". Probabilmente sono state inculcate nel nostro linguaggio dall'educazione ricevuta nell'infanzia. Infatti, troverete facile ricordare da parte di mamma, papà o la maestra: "Come devo fare con te ? Che a cinque anni fai ancora la pipì a letto ? Oppure....che ti metti ancora il dito in bocca ?" A scuola poi ! "Cosa pensi di combinare nella vita se perdi il tempo a giocare a playstation ?" Importate nella vita degli adulti, dalla famiglia al lavoro, le domande tarocche non giovano a nessuno. A chi le fa, procurano l'effimero soddisfacimento dell'ego da capoufficio o...mammasantissima. Ma altresì gli procurano all'istante un bel pò di "nemici", perchè chi le riceve è mosso istintivamente da un senso di rabbia, ribellione e vaffan...:-) Concludo consigliando a chi è tenuto per ruoli e competenze ad esprimere un giudizio (negativo) sugli altri, che è molto meglio usare delle semplici, pacate affermazioni. Una strada potrebbe essere questa: 1) trovate un qualche merito nel vostro interlocutore ed evidenziatelo. Impegnatevi a trovarlo, nel personale o nel professionale, ogni persona ne ha più di uno....cavolo! Non siate superficiali ed insensibili ! 2) Esprimete il giudizio a vostro avviso "correttivo", introducendolo con frasi che mostrino comunque umana affabilità. Del tipo: "secondo me", o meglio ancora "a mio modesto avviso". Ciò perchè a nessuno al mondo fa piacere sentirsi dare del torto o peggio ricevere rimproveri. Allora ? Cari lettori, che ve ne pare ? E su questa domanda volutamente "aperta", nell'attesa di nuove idee ed esperienze, vi saluto cordialmente ! (Maggiorino Guida, riproduzione riservata)